Leggero.
È un tempo strano questo per abitare qualsiasi luogo, così fragile e incerto che ci sentiamo meno
radicati che mai nella realtà e più inclini a stabilire connessioni con un ‘altrove’, uno spazio fluido con
potenzialità di interazione e di incontri inconsueti, un non-luogo visionario e incontaminabile. Negli
slittamenti tra realtà e finzione, mentre ci muoviamo tra simboli e segni sfuggenti, siamo chiamati, in
realtà, ad allenare la nostra vista su uno spazio più interno, intimo e profondo di quanto si possa
descrivere.
In questo corpus di lavori, il paesaggio rappresentato da Raffaele Fiorella è unico e viene declinato
attraverso vari linguaggi, dalla simulazione 3d alla realtà virtuale, dalla scultura al video. Lontano da
scenari già visti o immaginati, siamo proiettati in uno spazio aperto, senza coordinate, dove è tracciata
solo una linea continua, quella dell’orizzonte. Lungo questa intersezione si svolge una vita né
rassicurante né tantomeno inquietante, fatta di oggetti galleggianti e ibridi organici.
Ma non è una ballata di ombre o di cyborg l’ambiente simulato dall’artista, piuttosto un mondo con
una precisa fisionomia, un luogo ameno dai colori metallici, dove la luce del sole si riflette sulle cose
senza insidie nascoste. Tuttavia, per apprezzare interamente l’esperienza di questo giardino virtuale –
equidistante sia dall’estetica fiamminga che dall’esuberanza surrealista – bisogna abdicare alla
necessità di direzioni o gerarchie gravitazionali e imparare a guardare l’orizzonte come un’occasione
per la pensabilità, la progettualità e la riflessione.
Che sia la risposta o meno alla solitudine, l’immaginazione è forse lo strumento più potente
dell’autocoscienza. Fiorella, che usa per la prima volta la realtà virtuale, risveglia la sua memoria e
apre la vista sul suo inconscio. E ci ritroviamo così in un tempo dilatato, tra figure dai lineamenti
umani, deliri vegetali e forme zoomorfe, a indagare la stretta relazione tra quello che vediamo e noi
stessi.
Dallo spazio ‘reale’ della galleria – abitato da apparizioni fittili, ricorrenti nell’alfabeto visivo di
Fiorella – siamo trasportati in uno ‘non-reale’, che agisce tanto sulla percezione sensoriale quanto sullo
stato emotivo e sui processi cognitivi. Attraversando questo universo senza margini, ci mescoliamo a
una natura proliferante, come se affiorassimo anche noi dalla mente dell’artista, prendendo parte al
flusso di “comunicazione post-simbolica”, come scriveva Jaron Lanier, uno dei pionieri della virtual
reality. Nell’esperienza immersiva, accediamo dunque a “uno stato di veglia, a un sogno
intenzionalmente condiviso”.
Questa tecnica, che ai suoi esordi sembrava tendere verso la progettazione di scenari utopistici o mondi
trans-human, è in questo caso il dispositivo di trasmissione di un paesaggio elettronico, un ipotetico
‘quarto paesaggio’, per cercare un collegamento ideale con la classificazione di Gilles Clément. Un
paesaggio che è, però, la visualizzazione di un luogo immaginario e onirico, immateriale e allo stesso
tempo concreto, in quanto oggetto della riproduzione digitale, che per alcuni potrà rappresentare un
paradiso perduto, per altri una dimensione metafisica o l’inizio di un viaggio introspettivo e catartico.
L’artista restituisce qui una visione edenica atipica, dove l’apparente assenza di dualismi, inizio/fine,
giorno/notte, umano/non umano, bene/male, vita/morte, e così via, sottintende il desiderio di una
sospensione temporanea, il bisogno di una panacea individuale e collettiva, ovvero la ricerca di una
metodologia collaudata per uscire dal mondo reale e sentirsi leggeri, in qualunque momento, con la
consapevolezza di poter scivolare nelle acque più profonde e non perdere mai l’orientamento.
Lucrezia Anaglieri
Foto di Rosaria Lucia Marrone