TestiMy home galleryhttp://www.myhomegallery.org/ita/content/5-3-raffaele-fiorella
Plotshttp://www.anmgallery.com/plots/#1 Raffaele Fiorella appare da un punto di vista tecnico come un artista versatile, in grado di serbare, pur nelle diverse pratiche – quali l’installazione, il video, la scultura –, un’unica radice poetica, dove l’esplorazione intima e personale riesce a creare un parallelo tra arte e vita. In PLOTS sperimentando un nuovo contesto quale quello del web, Fiorella avvalora questa sua abilità suggerendo un racconto personale discontinuo, in cui le singole ambientazioni e i personaggi, come cartoline di un passato riemerso, danno forma a frammenti mnemonici del tutto intimi e surreali. Tracce solo apparentemente disunite ma rese da una organicità esecutiva tale da assemblare il racconto in un’unica orchestra, che sta all’osservatore saper dirigere. Il progetto si compone di video brevissimi e disegni 3d, tutti dotati della stessa venatura sobria – il bianco e il nero come i soli colori presenti e una scelta spaziale asettica- , come a voler bisbigliare una dimensione onirica in continua tensione tra realtà e illusione.Ciascuna immagine possiede una sua valenza narrativa e in questa distesa di trame, l’utente riveste il ruolo di giocoliere detenendo il compito di intuire connessioni, e dando vita a nuove parentesi emotive individuali ma al contempo vicine a un sentire universale. Seppur le ambientazioni sembrino appartenere al vissuto personale – reale o immaginario – dell’artista, al contempo posseggono la potenza espressiva di familiarizzare con il sentire di chi le osserva. Fiorella in questa occasione rivisita la sua poetica verificando le possibilità espressive del mezzo e confrontandosi con le potenzialità del web, quale strumento di assimilazione innovativo, in quanto in grado di assicurare un’interazione individuale e privata. L’approccio a questo racconto per immagini avviene con tempi e modi autogestiti e non compromesso dai limiti di una mostra fisica, garantendo così una maggiore introspezione nel confronto con l’opera, e situando lo spettatore nelle sue stesse corde emotive. La sensazione finale è quella di vivere sospesi nella suggestione del ricordo, che a tratti riaffiora e a tratti si impone, imbattendosi con quello che di contraddittorio e insolubile vi è nel sentire umano. Giulia Zamperini
MenzognaMENZOGNA, UN INVITO ALLA VISIONARIETÀ In cosa consiste la “menzogna”? Che universo di senso vuole racchiudere il titolo di questa mostra? Nelle parole di Raffaele Fiorella: «La menzogna può essere intesa secondo un’accezione positiva e non necessariamente negativa. Può significare attività capace di trasformare la realtà per renderla più come piace a noi, la capacità degli uomini di inventare storie, luoghi, vissuti, cose che non esistono ma che vorremmo esistessero». La menzogna dunque è il prodotto dell’immaginazione, ma essendo l’immaginazione il recupero e il rilancio di materiali archiviati nella memoria, non importa se conscia o inconscia, la menzogna è un legittimo processo di pensiero, anzi di costruzione della realtà. È diaristica, autobiografica, introspettiva e sublimatoria come l’arte romantica, di cui forse è l’estrema propaggine. È altrettanto un modo per affrontare il mondo, poiché è a beneficio di valori non necessariamente univoci che lascia libero corso alla fenomenologia del divenire. In questa esposizione, dal filo conduttore video-digitale, l’effetto immediato che producono i disegni, per esempio, è fortemente straniante. Nella misura in cui le scene appaiono come storie di vita quotidiana per così dire congelate, immobilizzate in una dimensione oniricamente sospesa. Gli oggetti domestici, i volti, le fronde, le architetture della quotidianità urbana, studiosamente dosati, si inventano a vicenda, si anagrammano. Immersi nel luogo sconfinato del non-spazio e del non-tempo, trascrivono il brivido di storie inventate di cui custodiscono la soglia: sono un invito, rivolto allo spettatore, al sottile gioco della scoperta della faccia nascosta delle apparenze. Del resto, anche se caratterizzata dal rigore o da strutture ritmate da unità primarie (come cubi, parallelepipedi e simili), il lavoro di Raffaele Fiorella non ha la fredda impersonalità del rigore più minimal. Le sue installazioni sono ricoperte di cromaticità vivaci, fogliame vibrante, attraversate da riprese in slow-motion di alberi in movimento e nuvole che attraversano il cielo: «Alcune mie opere» dichiara l’artista, «richiamano l’idea di una città ideale sommersa dalla natura e dove regna la tranquillità più assoluta. Anche qui, il risultato è un punto di incontro tra vita reale e vita immaginata». Da questa stessa poetica, nascono anche i suoi “lightbox”: schermi articolati in combinazioni potenzialmente infinite, dove l’ombra è come un seme interrato che si produce alla superfice in immagine e figura. Sono video dove il pubblico è immerso in messe in scena di natura surreale (come quella figura che vola nel cielo come se fosse un aquilone). Dove c’è un tratto ludico in quel che i protagonisti fanno (che forse è l’essenza del loro essere), come se rappresentassero una società di figurini da operetta. E a questo proposito, Fiorella sottolinea: «L’arte è una delle poche soluzioni che ci dà la possibilità di fuggire dalla realtà e ci permette di concretizzare materialmente, per un attimo o per sempre, dei pensieri o sogni. Quindi, per me, l’arte è la massima espressione dei nostri sentimenti». E così l’arte si sente libera di esibire la menzogna esaltandone il potere visionario e dell’immaginazione, e usandola, in definitiva, come via per arrivare alla libertà. Marianna Agliottone
PASSAGGIdi Nicola Zito Il lavoro di Raffaele Fiorella, basato sull’utilizzo di tecniche differenti come il video o la scultura, è finalizzato alla creazione di particolari “mondi paralleli” nei qualil’artista riversa una sistematica ricerca socio-psicologica elaborata per via tecnologica e digitale, rappresentando i sogni, le speranze e le utopie personali e diquanti lo circondano. È questo un particolare processo di ibridazione tra dato reale e finzione che si evidenzia nelle sue opere tramite la proiezione di un universo asetticoma allo stesso tempo ironico, che si configura nella riproduzione del proprio io e, contemporaneamente, nella ridefinizione di un’identità collettiva, che Fiorellarintraccia nel contesto con cui si confronta quotidianamente. In questa ottica si inserisce appieno il progetto site specific sviluppato durante laresidenza a Conversano il quale, diviso in più fasi di lavorazione, risulta fortemente caratterizzato sotto l’aspetto formale e sotto quello sociale; la videoinstallazionePassaggi, studiata appositamente per un angolo del chiostro dell’ex Monastero di San Benedetto, è una sorta di immensa finestra attraverso cui vengono messi in luce iprincipali aspetti relazionali e le dinamiche collettive del centro abitato, in un racconto muto in cui scorrono le immagini del quotidiano e di quella “poetica routineche contraddistingue ogni luogo”. FuoriluogoFuoriluogo è il titolo scelto da Raffaele Fiorella per il progetto allestito presso lo spazio di Nuvole Arte di Montesarchio. Diciamo fuori luogo quanto non è appropriato, ossia la battuta che non rispetta le convenzioni, il comportamento incongruo o l’intervento del guastafeste. In verità, tutta l’arte moderna esprime un’intima predilezione per il fuori luogo: a comincia- re dai movimenti fondativi del moderno, ovvero dall’arte tardo romantica che denuncia la pervasività dell’industrializzazione e le resiste, fino alle avanguardie che del non essere del proprio tempo borghese fanno una poetica. Contro ogni convezione, infatti, si scaglia l’arti- sta d’avanguardia rappresentandosi come paradigma del bastian contrario, par excellence, da Marinetti a Cattelan, campioni del fuori luogo che nella costante spinta in avanti mettono il sistema dell’arte in… fuori gioco.C’è, tuttavia, quella che si potrebbe definire una tradizione meno eclatante, più lieve e poe- tica, di quella rappresentata da quei campioni. Si tratta di un percorso più laterale e sottile, maggiormente ironico. È questo il percorso sul quale s’incontrano i surrealisti, più o meno integrati, o gli scrittori, i poeti e gli chansonnier, interessati meno al confronto con i grandi sistemi e più al quotidiano. Da Buñuel a Prevert, da Queneau a Percec, da noi da Zavattini a Buzzati, da Campanile a Calvino, e in arte da Savinio a Baruchello, solo per fare qualche nome a caso, l’ordinario sembra interessare perché presenta pieghe mai del tutto ad esso riconducibili e che però presentano vie di fuga immaginative. La ricerca di Raffaele Fiorella è pienamente contemporanea. Usa, infatti, mezzi, a comincia- re dal video, che veicolano le immagini del nostro tempo e sono mezzi di comunicazione pri- ma ancora che d’arte. Usa, anche, un linguaggio minimo ed essenziale, raccontando spesso di situazioni comuni, ordinarie, appunto. Nelle sue opere, siano le riprese o le costruzioni che mostrano quelle riprese o le installazioni in generale, tutto appare poco evidente, quasi un paradosso: mostrare senza però attirare attenzione. C’è in ogni lavoro di Fiorella uno scarto incomprimibile, una distanza incolmabile tra piani diversi che l’opera tiene insieme come in una sorta di gioco di equilibrio. Nelle sue figure non è immediato decidere quanto è reale e quanto, invece, è virtuale o immaginario, ma quel che è più interessante è che l’uno finisce per prestarsi come piega e scarto dell’altro. Immaginario come imprevisto del reale, o ancor più interessante il reale come risultante inattesa dell’immaginario. In questo modo, il confine tra verità e finzione diviene assai labile e l’opera è prodotto di un gesto apparentemente ordinario, ma con un rovescio inatteso che mette in dubbio tutto quanto le è intorno. Nel progetto per Nuvole Arte, Fiorella si impadronisce dello spazio della galleria, per farne spazio incerto, vi apre un varco e, come in molte delle sue opere, attraverso quel varco, mo- stra quanto il luogo stesso della galleria si trasforma in un assoluto fuori luogo. Domenico Maria Papa AmniosIl flusso vitale della Natività di Raffaele FiorellaNella pratica artistica di Raffaele Fiorella l’esplorazione dei contesti e degli ambiti tematici, culturalmente identificabili – come quello della natività – corrisponde ad una “invenzione” sensoriale e temporale che si serve della proiezione video-sonora.Basandosi su una osservazione specifica riferita al contenitore architettonico interno – l’ipogeo della Chiesa Matrice Santa Maria Veterana di Triggiano – la proiezione video progettata da Raffaele Fiorella, intitolata Amnios, trasmette tre silhouettes con i profili della Madonna, di San Giuseppe e del Bambino Gesù, che appaiono e scompaiono in modo misterioso così come è misteriosa la nascita del Redentore. Difatti la definizione delle tre sagome su fondo scuro avviene mediante l’immagine video dell’acqua trasmessa su tre rispettivi teli di tulle, capaci di conferire un miraggio tridimensionale. Sullo schermo vuoto compare lentamente il gruppo della natività mediante lo scorrere visivo dell’acqua (chiara allusione al liquido amniotico, metafora di nuova vita) che man mano riempie le tre sagome. L’impianto risulta fragile e sensibile quanto l’esistenza umana e le sue membrane. Il flusso del liquido proiettato sulla superficie scura dei teli di tulle genera una dimensione spirituale unica. Un interstizio tra materiale (le sagome e l’acqua) e immateriale (la proiezione video) pensato in riferimento all’amnios, ovvero ad una membrana in espansione che ribadisce il legame imprescindibile con il plasma materno terrestre. Fiorella agisce dentro lo spazio dell’ipogeo e fuori da qualsiasi “gioco di stile”. Per lui il luogo, sottoposto all’epifania visiva, subisce una “apertura” immaginaria dove poter cogliere il senso di una iniziazione alla vita. Inoltre al fruitore lascia carpire l’immagine della nascita insieme al sottofondo sonoro dell’acqua. Pertanto l’artista si spinge verso un’esperienza della Natività come immagine e come evento, spaziale e temporale, mai interrotto. Naturalmente verso un’esperienza di immagine videotrasmessa. L’approdo è ad una relazione dimensionale fluida, inattesa, elastica e in continua ri-nascita. Di qui si definisce una dinamica operativa così flessibile da essere lontana sia dalle rigidità astratte e concettuali, sia dalle ricerche comunicazionali impegnate negli ambiti sociali o politici. Si tratta di una ricerca sensoriale-spaziale posta oltre la stasi “muraria”, secondo cui le silhouettes dei tre personaggi tipici della tradizione religiosa cristiana si proiettano come “visione” all’interno della pluralità storico sociale ambientale dell’ipogeo di Triggiano. La proiezione di Amnios non fa che stabilire una “riflessione” sulle potenzialità epifaniche della nascita e sul significato del ventre amniotico da cui proviene ogni essere. Attesta tanto la sensorialità enigmatica della superficie/membrana in rapporto all’immagine dell’acqua proiettata, quanto la possibilità di una componente extrafisica delle figure. L’opera possiede la capacità di far sentire all’interno dell’alveo spaziale che la “adotta”, una esperienza percettiva che fa perdere ogni cognizione razionale a favore di una circolazione di energie in atto, ipotesi di incognite formulazioni visuali. Lo sguardo dello spettatore si trova di volta in volta compromesso da una esperienza multi-sensoriale. La circolarità spazio-temporale innescata dall’artista aumenta inevitabilmente per mezzo della moltiplicazione video-sonora di gesti in perenne svolgimento. Il lavoro di Fiorella permette di contaminare lo spazio attraverso un accadimento visivo che ha le componenti di una temporalità circolare senza tregua, il tempo scandito dal flusso e dal rumore dell’acqua che compone le forme e imprigiona il fruitore a tal punto da trascinarlo in una processualità inedita, ricca di risvolti mentali. Escludendo la componente narrativa imperante nel medium elettronico, Fiorella indaga le condizioni fenomeniche dell’immagine della Natività correlata alla particolarità architettonica dello spazio liturgico, inoltre alla dimensione circolare della gestazione. Piuttosto che praticare una raffigurazione del reale e del fantastico fondata su video proiezioni ricche di accenti narrativi, come quelle di Tony Oursler, aspira a determinare un segmento iconico di carattere epifanico-costruttivo, essenziale e scarno, che racchiude natura e artificio, sfera primordiale e tecnologia, simbolo e realtà. Giacomo Zaza
Le cose che non accadonoNegli ultimi lavori di Raffaele Fiorella si percepisce un territorio ibrido che vive di dati tangibili ed entità illusorie: le opere in mostra sono difatti avvolte da questa rarefatta dicotomia propria della creazione, da cui emergono ambienti sospesi che fanno irrimediabilmente scaturire interrogativi sullo spazio e sul tempo. Entità naturali, come i tronchi degli alberi o i diradati specchi d’acqua dalle temperature glaciali, ancorano la percezione verso verità tangibili. Gli elementi levigati, lampanti richiami a oggetti spaziali, ipotetici invasori del pianeta terra, non hanno un’aria minacciosa poichè giacciono abbandonati, svuotati da qualsiasi forma possibile di vita terrestre o aliena. Per Fiorella questi non sono magnetismi tratti dalla letteratura fantascientifica, ma suggerimenti estratti da libri mai letti, viaggi autonomi verso luoghi apparentemente imperscrutabili, corroborati dall’incanto delle forme levigate e da cromìe biancastre che rendono il clima della percezione privo di ogni tempo reale. Un tempo che scorre senza soluzione di continuità, dando l’illusione che qualcosa possa accadere o suggerendo un episodio del naturale ciclo dell’esistenza già accaduto. Una storia in divenire, quindi da erigere ex novo. Una storia “non accaduta” che galleggia nell’aria e nel pensiero, che non ha niente di circoscritto, ma che ha un limite del tutto dilatato, disposto a decodificazioni a maglie larghe. Lorenzo Madaro (testo critico della mostra)
Le cose che non accadono (secondo Raffaele Fiorella)QUELLE ASTRONAVI SENZA ALIENI. Le nuove prove di Raffaele Fiorella Non ha perso la voglia di sperimentare, di cercare nuove strade Raffaele Fiorella (Barletta 1979). Anche in una fase ormai abbastanza lunga nella quale hanno ottenuto consensi larghi le sue finestrelle e i suoi teatrini composti con doppio sguardo di figurine sagome in nero contro fondi video. Scene che hanno variato da sguardi misteriosi e maliziosi su interni di vita quotidiana a inquietudini ambientaliste, vaghi presagi di apocalisse, sino ad esplosioni nel fantastico. E con sempre più impegnative imprese di installazione complessa, come si è visto quest’anno con la personale all’interno di un capannone industriale a Barletta e col progetto finalista nel concorso indetto a Napoli per un’opera permanente in Castel Sant’Elmo (mostra ancora in corso). Ora, nella nuova personale a Bari si è lanciato in diversa dimensione linguistica, con prove di computer grafica tradotte in una serie di immagini a stampa e in video. Dalla libera elaborazione digitale di forme-base circolari e ovali sono nati lucidi volumi di astronavi a palla o a sigaro che atterrano un po’ goffamente tra grafismi di alberelli stecchiti. Oppure improbabili radici spuntano dagli oblò e si allungano su terreni aridi, paesaggi desertici di analogo inerte candore. Proprio ghiacciai talvolta, banchise polari come quella su cui è incagliato una specie di dirigibile. Le navi spaziali sono segnate in abbondanza ritmica da finestrelle, portelli da cui cala una scaletta di corda, ma non c’è alcun indizio di presenze umane, terrestri o alieni che siano. Scenari sintetici di “cose che non accadono” (titolo della mostra) rinviano a forme primarie di una fantascienza “da libri mai letti” – come dice l’autore al presentatore Lorenzo Madaro – con residui di umori ecologisti che avevano informato prove precedenti. Un immaginario sterilizzato da passioni, che si consegna con fredda ironia formale ad una condizione di metafisico stupore. Qualche flusso d’inquietudine scorre invece nel video che evoca – sempre in finzione digitale – un’acqua alluvionale che trascina flemmaticamente sedie tavoli e oggetti. Non sembra effetto di naufragio, piuttosto una libera esondazione della fantasia dalla costrizione di schemi rassicuranti, una fuga dal rischio di stagnare nella maniera. Nella galleria Museo Nuova Era (via dei Gesuiti 13) sino al 17 giugno. Orari: 17-20, domenica chiuso. Info: tel. 0805061158, 3480352614. Pietro Marino (La Gazzetta del Mezzogiorno, 13 Giugno 2013) CHIARA DELLERBA | RAFFAELE FIORELLA - Entrenous#3«Dov’è la realtà: in cielo o nel fondo delle acque? L’infinito nei nostri sogni, è ugualmente profondo nel firmamento e sotto le acque»(1) Per la sua profondità e immensità, il mare è custode misterioso attraverso cui si sono verificati molti degli eventi nodali della storia del mondo: viaggi di scoperta, spedizioni di conquista e di deportazione, fughe, battaglie, naufragi, emigrazioni, esili. Il mare ha sempre sollecitato l’immaginazione degli uomini per la sua estensione liquida che all’orizzonte si incontra con il cielo e ha rappresentato l’elemento fondamentale di molte civiltà per il suo fascino narrativo, legato a leggende di dei e di eroi che lo hanno abitato. Il mare come metafora di infinito, instaura un misterioso rapporto empatico con chi lo osserva e ne percepisce le qualità olfattive. È a partire da questo principio che si sviluppa la ricerca di Chiara Dellerba e Raffaele Fiorella. Le radici pugliesi dei due artisti costituiscono il fondamento del terzo appuntamento di Entre nous, un viaggio compiuto metaforicamente attraverso il mare che li ha traghettati direttamente a Roma. Se Jorge Luis Borges definì il mare come “un antico idioma che non riesco a decifrare”, Chiara Dellerba e Raffaele Fiorella, tentano di stabilire un contatto, una ricerca al di sotto del limite sensibile, nelle viscere dell’invisibile. “Davanti all’acqua profonda scegli la tua visione, puoi vedere a tuo piacimento il fondale immobile o la corrente, la riva o l’infinito, hai il diritto ambiguo di vedere e non vedere…”(2). Guidare lo sguardo in profondità, dove l’occhio non può arrivare, equivale a immergersi in una seconda visione, una dimensione parallela e silenziosa. Chiara Dellerba ci presenta una nuova realtà, quella sconosciuta e indefinibile, per ‘toccarla’ dobbiamo abbandonarci e cadere, perdere il senso di appartenenza alla terra ferma. Ad Est racconta di luoghi appartenenti a una dimensione metafisica, terre metaforiche piuttosto che paesaggi geograficamente riconoscibili. L’artista mette in scena una città sotterranea, un viaggio nelle viscere attraverso cui immaginare storie proprie o altrui, innescando la percezione alterata di ciò che vive al di sopra. Le immagini disposte casualmente sulla parete invitano lo spettatore ad amplificare la propria capacità di immaginazione, in un viaggio attraverso il tempo e le storie, raccolte in libri di antropologia degli anni ‘40/’60, appartenenti tutte a città del Mediterraneo. La superficie liquida si contrappone alla dimensione sotterranea nell’installazione di Raffaele Fiorella, “così l’acqua, con i suoi riflessi, duplica il mondo, raddoppia le cose. Essa sdoppia anche il sognatore, non solo come una vana immagine, ma impegnandolo in una nuova esperienza onirica”(3). Spazi funge da attivatore per riflettere sulle relazioni che si determinano tra l’individuo e il proprio territorio, inteso come spazio delle possibilità. L’opera assume il valore di un atto poetico ed è composta da una serie di immagini di orizzonti e luoghi che Fiorella ha fotografato e che – come un filo disteso – uniscono idealmente i due artisti. La finestra, elemento imprescindibile nelle sue installazioni, travalica il campo visivo, attivando uno sdoppiamento: dalla fessura si intravede un video in loop, movimento che conferisce all’immagine una dimensione temporale, legata alla memoria e al racconto. “È singolare che l’uomo, anche se si trova su una costa, guardi naturalmente dalla terra verso il mare e non, al contrario, dal mare verso la terra. Nelle profonde, spesso inconsce, memorie dell’uomo acqua e mare sono la misteriosa causa prima di ogn8 vita”(4). Così lo scrittore Carl Schmitt riflette sull’origine dell’uomo in un viaggio attraverso la storia del mondo. Le opere di Chiara Dellerba e Raffaele Fiorella si presentano come un dispositivo mutevole, quasi inafferrabile, dove mare, cielo e terra diventano i principali portavoce dell’emozione ‘del’ e ‘nel’ paesaggio. Dellerba ribalta il senso di equilibrio fra le parti, restituendoci – attraverso immagini storiche e l’uso di diversi materiali – la sensazione di precarietà dell’universo umano; Fiorella sceglie un unico punto di vista dal quale osservare l’orizzonte, con un’immagine che si ripete ininterrottamente, fino a cogliere la dimensione più metafisica e silenziosa del mare e delle nuvole. Simona Merra e Carmela Rinaldi 1. Gaston Bachelard, Psicanalisi delle acque. Purificazione, morte e rinascita, Red Edizioni, Como, 1992, p. 65 - 2. Ibidem, p. 67 - 3. Ibidem, p. 65 - 4. Carl Schmitt, Terra e mare, Adelphi, Milano, 1981
Il labirinto “da domani” di Raffaele FiorellaUno dei più interessanti talenti della nuova generazione di artisti in Puglia è il barlettano Raffaele Fiorella, classe 1979. Si è affermato come autore di minimali videoinstallazioni con raffinati giochi tecnici di animazioni e sdoppiamenti che evocano con trasognato intimismo ed umbratile grazia situazioni di distaccata, misteriosa quotidianità. Si sta facendo conoscere anche fuori d’Italia (recente una residenza a Pechino). Ora, importante nel suo percorso è il vasto complesso installativo da lui realizzato a Barletta, nel capannone di un’azienda nell’area industriale, la Base Protection. Ha inventato un percorso labirintico immerso nel semibuio, innalzando con 600 scatoloni d’imballaggio muri contro e dentro i quali si dispongono diverse apparizioni a sorpresa.
Una serie di post-it elettronici su cui degli appunti si sovrappongono a video di esterni in movimento; un teatrino nel quale l’ombra di un inserviente fa pulizie dopo una rappresentazione lirica, ma cantando; due pozzetti al fondo dei quali scorgiamo scorrere cielo e mare; tre videosculture con statuine di personaggi immobili che contemplano dall’interno di ambienti chiusi – siano carcere o stanza domestica – la vita di natura all’esterno; una grande parete curva illuminata da 33 finestrelle (quanti i suoi anni) dietro le quali si intuiscono azioni di vita quotidiana; infine una Grande Esplosione proiettata in grafìa nera di frammenti di oggetti e di natura che volano, si librano in surreale assenza di gravità. Il filo nel labirinto è dettato dal titolo della mostra, “Da domani”: ”allegoria – suggerisce il curatore Roberto Lacarbonara – di un domani indefinibile, imprevedibile, con i suoi vicoli ciechi e le sue svolte” Peccato che l’evento abbia vita brevissima, dal 3 al 6 gennaio, per le esigenze lavorative dell’azienda (fabbrica “calzature professionali di sicurezza”) che pure si distingue – segnala il dirigente ingegnere Michele Lacerenza – per il sostegno a progetti sociali e culturali. Ne resta traccia indiretta in un elegante libretto a tiratura limitata curato dai locorotondesi Antonio Lillo e Roberto Lacarbonara. Raccoglie brevi pensieri sul “da domani” di una ventina di amici intellettuali, scrittori, persone comunque con interessi culturali: con tonalità fra speranza e disincanto, fra distacco ironico e slancio sentimentale. Fulminante quello di Enrica Simonetti: “Aprirò una redazione nel Terzo Mondo”. Un repertorio agrodolce di testimonianze problematiche che ci toccano in questo avvìo di anno nuovo. Le commentano i disegni volanti di Fiorella, con fantasia fredda e nitida come l’aria del nostro inverno dei pensieri e delle emozioni. Pietro Marino
Geografie della mente: Alcune riflessioni sul lavoro di Raffaele Fiorella “Più veloce d’un cuore cambia l’aspetto d’una città” (Charles Baudelaire) Nel romanzo di Italo Calvino, 55 città dai nomi femminili classicheggianti sono il pretesto non tanto per tracciare con dovizia topografica le rotte dei viaggi di Marco Polo, ma per trasporre sulla carta uno stato interiore, esaudire il desiderio di ritorno al “luogo” per eccellenza, al fine di riconciliarsi con ciò che, pur essendosi sedimentato nella memoria dell’individuo è il più inafferabile dei luoghi, punto di partenza e di arrivo, mezzo e fine del viaggio in quanto (auto)scoperta. Nell’opera di Calvino la parola contiene molteplici rimandi visivi, attiva inaspettate rifrazioni. La stessa qualità evocativa contraddistingue il lavoro di Fiorella il cui scopo è creare nel tempo 55 video installazioni che, come nel caso delle città calviniane, rinuncino ad una funzione prettamente mimetica ma, prive di ogni elemento didascalico, operino piuttosto come una sorta di diario visivo dell’artista. La Pechino “ritratta” nell’opera dal titolo Landscape rappresenta, con i suoi rimandi culturali, i suoi cambiamenti repentini, i suoi paradossi visivi, una delle tappe del viaggio ideale intrapreso dall’artista.Come per Calvino la parola è il talismano che favorisce un processo di esplorazione ma in primis di introspezione, per il giovane Fiorella l’opera d’arte è lo strumento che conduce alla scoperta “dell’identità nascosta dei luoghi”. Un’identità che, seppure mutante, è costantemente veicolata dalle immagini che il territorio proietta su di sé, sul tessuto urbano soggetto a continue rinegoziazioni architettonico-sociali e sull’immaginario collettivo. Tuttavia l’identità di un luogo, nel lavoro di Fiorella, non è costituita solamente da dettagli che l’opera d’arte sottrae alla distratta rete del quotidiano, ma soprattutto da vicende umane, emozioni private e suggestioni comuni che concorrrono a creare una fitta maglia di relazioni, in cui memorie collettive ed esperienze individuali danno origine a un continuo allacciarsi di micro e macro narrative. Il lavoro di Fiorella non sottolinea solamente che il paesaggio è abitato dal soggetto -fisicamente presente o spesso evocato da una serie di oggetti d’affezione- ma che il paesaggio stesso trova dimora nel soggetto: il paesaggio plasma l’individuo che lo abita ma è plasmato a sua volta da quelle connotazioni mentali che il singolo vi proietta e che spesso risiedono a priori nel subconscio di chi osserva. Soggetto (spettatore-artista) e oggetto (paesaggio) si completano in maniera mutuale in lavori in cui la dimensione reale si (con)fonde con quella ideale. In questo contesto, i paesaggi di Raffaele Fiorella transitori, labili, mai assoluti, in equilibrio precario ma non per questo meno poetici ed evocativi operano in quanto metafora della condizione umana stessa. Manuela Lietti
Raffaele Fiorella – Reverie #3 Sul gioco del dualismo ombra-luce si basa buona parte della più recente produzione artistica di Raffaele Fiorella, che ne ha fatto con gli anni una sua riconoscibile cifra stilistica. Sagome nere incastonate in piccoli quadretti luminosi intente ad azioni cicliche ed essenziali come minuscoli meccanismi che contribuiscono al lento ed inesorabile movimento del tempo. Tecnicamente l’artista è presente in prima persona in questa pantomima, prestando il proprio corpo e le proprie gestualità alla realizzazione filmica del video. Fiorella mette quindi in scena sé stesso e lo fa alla stregua di un attore polifunzionale, interpretando ora un soldato, ora un acrobata, un nuotatore o una sagoma alla finestra. L’ombra ne restituisce democraticamente l’anonimato, assegnando ai personaggi un ruolo simbolico in questo microcosmo visto come una rappresentazione teatrale del tutto. Il movimento ripetitivo ed ipnotico delle azioni emula l’atmosfera del rito, ed il gesto asettico e scevro da orpelli, si impone con una potenza quasi religiosa, instaurando una comunicazione diretta tra l’individuo e l’identità collettiva. Nell’opera presentata per la collettiva Reveries, Fiorella si libera dalla presenza umana, affidando il racconto ad un luogo. La valigia è stata ribaltata diventando un edificio bianco in miniatura con una sola finestra, un unico lacerto a concedere la visione di un orizzonte sul mare. Per la precisione, la scena incorniciata nell’apertura luminosa è una ripresa dal vero di quella che è la visuale del panorama che l’artista vede ogni giorno dalla finestra della sua abitazione. Nell’impossibilità di poter raccogliere e stipare tutti i ricordi, i sogni e le sensazioni di una vita, Fiorella affida ad una sola immagine, ad una sola istantanea cristallizzata nel flusso temporale, l’onerosa responsabilità di preservare tutto il bagaglio di esperienze sensoriali e le emozioni provate quotidianamente. La valigia assume però una funzione duplice: quella di contenitore ma al tempo stesso quella di contenuto, e lo spettatore è messo nelle condizioni di fruire dell’opera attraverso due punti di vista. Se da una parte possiamo pensare di essere all’interno dell’edificio e di affacciarci alla sua finestra per guardare il panorama balneare attraverso gli occhi dell’artista, dall’altra possiamo immaginare di esserne all’esterno, e, ipotizzando che l’immagine sia frutto di un riflesso sui vetri della finestra, identificarci col mare stesso. Fiorella apre quindi una porta emozionale, tracciando una linea di confine valicando la quale si interpreta un ruolo diverso nella narrazione. Il gioco diventa perciò psicologico e Fiorella ritaglia un minuscolo rettangolo di un’esperienza quotidiana e lo sottopone ai nostri sguardi, facendocene riscoprire l’aspetto meraviglioso: il miracolo che istante dopo istante accade davanti ai nostri occhi, troppo piccolo per destare la nostra attenzione, troppo grande per essere compreso in pieno. Uno scatto fotografico in movimento nei flutti mnemonici, autonomo e silenzioso, un immenso meccanismo del vissuto che rivive ed esplica la sua funzione grazie all’osservatore che ne muove il primo ingranaggio. Nico Murri |